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Quando pensiamo alle terme romane, immaginiamo mosaici e architetture maestose. In realtà erano soprattutto infrastrutture di salute pubblica: un luogo dove igiene, socialità e “terapia” con l’acqua si intrecciavano. Il percorso classico — tepidarium, calidarium, frigidarium — non era un capriccio estetico: l’alternanza termica veniva percepita come una vera pratica di benessere, capace di “risvegliare” il corpo. Oggi, con occhi scientifici, possiamo rileggere quell’intuizione alla luce di ciò che sappiamo su fisiologia, circolazione e recupero funzionale.

Dalla tradizione alla fisiologia: cosa succede nel corpo quando ci immergiamo
L’immersione in acqua modifica immediatamente la distribuzione dei volumi sanguigni. La colonna d’acqua esercita una pressione uniforme (idrostatica) che spinge i liquidi verso il centro: aumenta il ritorno venoso, cresce la gittata sistolica e, per compenso, la frequenza cardiaca tende a ridursi. È uno dei motivi per cui l’esercizio in acqua può risultare meno “affannoso” a parità di sforzo percepito, pur mantenendo un buon carico sul sistema cardiovascolare. Inoltre, la pressione idrostatica riduce il diametro delle vene degli arti inferiori e facilita il deflusso, con effetti favorevoli su edemi e senso di pesantezza. 

Alla componente pressoria si sommano due fattori chiave: galleggiamento e viscosità. Il galleggiamento “alleggerisce” il peso apparente del corpo (fino a oltre il 50% a immersione toracica), permettendo di muovere articolazioni dolenti o operate con minore carico. La viscosità offre una resistenza costante e modulabile: diventa un “elastico naturale” che consente di lavorare su forza e controllo, rallentando i movimenti e migliorando l’equilibrio in sicurezza. Infine, la temperatura: il caldo induce vasodilatazione e rilassamento muscolare; il freddo vasocostrizione e potenziale effetto antinfiammatorio. L’alternanza caldo/freddo (contrasto) stimola la pompa vascolare e, in ambito sportivo, viene impiegata per il recupero post-sforzo.

Dai Romani alle evidenze: dove l’acqua è davvero terapia
Molti benefici attribuiti all’acqua non sono solo tradizione. Per l’artrosi di ginocchio e anca, l’esercizio svolto in acqua mostra effetti favorevoli (piccoli-moderati) su dolore e funzione nel breve termine: il mezzo acquatico aiuta a “riattivare” i pazienti riducendo il carico articolare, sostiene l’aderenza all’esercizio e migliora la qualità di vita nelle settimane di trattamento. Parliamo di benefici clinicamente rilevanti ma non “miracolosi”: proprio per questo sono credibili e riproducibili. 

Anche nella riabilitazione neurologica gli studi sostengono l’utilità della terapia in acqua. Dopo ictus, protocolli mirati in piscina mostrano miglioramenti in cammino, equilibrio, autonomia nelle attività quotidiane e alcuni indicatori fisiologici rispetto alla non-intervento — con risultati in diversi casi superiori alla sola terapia “a secco”. L’acqua consente schemi motori ripetuti in condizioni di sicurezza, con cadute meno probabili e feedback propriocettivo continuo. 

Nel capitolo reumatologia, balneoterapia e spa therapy (che includono immersioni in acque minerali/termali, a volte con peloidi/fanghi) hanno mostrato, in numerose coorti, miglioramenti su dolore, funzione e qualità di vita in patologie come artrosi, fibromialgia e artrite reumatoide. La grande eterogeneità dei protocolli e la qualità metodologica non sempre elevata impongono cautela nell’interpretazione, ma il segnale di efficacia clinica è presente, specie come complemento ai percorsi standard. 

Caldo e freddo: quando l’alternanza ha senso
L’uso alternato di caldo e freddo (contrast water therapy) ha raccolto interesse nello sport e nel dolore post-esercizio. Le revisioni sistematiche indicano una riduzione dei sintomi da “DOMS” (indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata) e un recupero funzionale più rapido rispetto al riposo passivo, pur con rischio di bias in diversi studi. È un tassello utile, non una bacchetta magica: l’efficacia dipende da tempi, temperature e integrazione con allenamento e nutrizione. 

Perché funziona (quando funziona): integrare meccanismi e clinica
Se mettiamo insieme la fisiologia dell’immersione, l’effetto della temperatura e le proprietà meccaniche del mezzo, otteniamo una piattaforma riabilitativa “gentile” ma completa: carico articolare ridotto, resistenza graduabile, facilitazione del ritorno venoso, modulazione del dolore e delle risposte autonome. Non stupisce che molti pazienti riferiscano maggiore tolleranza allo sforzo e una finestra di analgesia che consente di fare più esercizio di qualità. In condizioni come l’artrosi, questo “circolo virtuoso” — muoversi di più con meno dolore — è spesso il vero determinante del miglioramento clinico documentato dagli studi. 

Dal termalismo alla medicina basata sulle prove
Il mondo romano aveva colto — empiricamente — che l’acqua “prepara” il corpo alla funzione. La medicina moderna, con protocolli e outcome misurabili, colloca l’idroterapia dove ha più senso: riabilitazione post-chirurgica ortopedica; recupero dopo traumi; gestione dell’artrosi in fase dolorosa; training dell’equilibrio e del cammino in esiti di ictus o in pazienti anziani; complemento nei disturbi reumatologici. Nella pratica clinica l’elemento decisivo è l’integrazione: l’acqua amplifica l’efficacia dell’esercizio terapeutico, non lo sostituisce.

Limiti, sicurezza e controindicazioni (la parte che i Romani non potevano conoscere)
Come ogni intervento, anche l’idroterapia ha limiti e controindicazioni. Vanno valutate con il medico condizioni cardiache instabili, insufficienza respiratoria grave, ferite aperte o infezioni cutanee, incontinenza non controllata, epilessia non stabilizzata, alcune dermatiti attive e, per le immersioni calde, patologie in cui le variazioni termiche possono essere rischiose. Nei disturbi della sensibilità periferica (neuropatie) e nella vasculopatia periferica si usano temperature moderate e monitoraggio ravvicinato. In ambito sportivo, il freddo subito dopo l’allenamento può interferire con alcuni processi adattativi: anche qui, la scelta è di contesto e obiettivo.

Dalla “cultura dell’acqua” a percorsi personalizzati
Il valore aggiunto dell’acqua non è “l’acqua” in sé, ma ciò che permette di fare al paziente. Per una persona con artrosi di ginocchio in fase algica, 30–40 minuti in piscina terapeutica possono riattivare schemi di cammino ed esercizi di rinforzo quadricipitale che a secco sarebbero intollerabili. Per un paziente post-ictus, l’ambiente acquatico consente un lavoro intensivo su equilibrio e passo con cadute improbabili e feedback costante. Per soggetti con insufficienza venosa lieve, l’immersione toracica associata al cammino in acqua può alleggerire il gonfiore a fine giornata. A parità di diagnosi, i protocolli non sono standard: temperatura, profondità, durata, intensità e progressione vanno calibrate su obiettivi e comorbilità.

Il filo rosso con Roma: la regola dell’alternanza
Il percorso romano caldo-tiepido-freddo oggi trova una logica nelle risposte vascolari: vasodilatazione, transizione e vasocostrizione modulano flussi, tono muscolare e percezione del dolore. In riabilitazione, l’alternanza non è un rituale fisso ma uno strumento: ad esempio, fase calda per facilitare la mobilità, lavoro tecnico-motorio in acqua a temperatura neutra, breve esposizione fresca per ridurre sintomi post-sessione. È la “scienza del dosaggio” — non l’estetica del percorso — a fare la differenza. 

Cosa portiamo a casa (in senso clinico)
L’acqua è un moltiplicatore di aderenza e di qualità del movimento. Dove la letteratura è più solida — artrosi di anca/ginocchio, recupero post-evento neurologico, integrazione nei reumatismi — i benefici sono concreti ma realistici: miglioramenti piccoli-moderati su dolore, funzione ed equilibrio in cicli di alcune settimane, da integrare con esercizio “a secco”, educazione e, se indicati, farmaci o dispositivi. Nel dolore post-sforzo, il contrasto caldo/freddo può accelerare il recupero dei sintomi, purché inserito in un programma strutturato. Sulle patologie venose, l’immersione supporta il ritorno venoso e riduce il calibro delle vene, con impatto clinico da inquadrare caso per caso. 

Uno sguardo contemporaneo
Tradizione e prova scientifica non sono in conflitto: si completano. Il compito della medicina moderna è tradurre il “sapere dell’acqua” in protocolli personalizzati, misurabili e sicuri. Per i pazienti significa valutazione clinica iniziale, definizione degli obiettivi (dolore, mobilità, equilibrio, autonomia), scelta del setting (temperatura, profondità, durata), progressione settimanale e monitoraggio dei risultati. È così che l’eredità delle terme romane diventa medicina contemporanea, capace di coniugare storia e scienza al servizio della salute.